La Stasi — Simone Marcuzzo — Berlino, Novembre 2019

Come molti colleghi, Simone Marcuzzo affianca al lavoro di fotografo professionista nel settore dell’interior, una ricerca personale di soggetti, caratterizzata perlopiù da immagini di luoghi spogliati dal tempo e dalla presenza umana.

La Stasi rappresenta una serie di immagini che ci sussurrano parte della Storia che, conclusasi trent’anni fa con la caduta del muro di Berlino, i suoi protagonisti con grande sforzo esigono fortemente ricordare, non per il desiderio di rivivere quei momenti o per protesta, ma per mantenere la propria identità orientale, le esperienze vissute, incompatibili con l’Ovest, senza però rinnegare il presente.

Il 15 Gennaio 1990 i cittadini della Germania Est occuparono la centrale della Stasi con lo scopo di preservare lo smisurato patrimonio di documentazione archiviato e registrato dalla Stasi con attenta perizia e maniacale acribia nei suoi quarant’anni di lavoro. Già a quella data, infatti, molti funzionari del ministero si erano attivati per poter distruggere testimonianze e cancellare prove dei loro crimini. La Stasi penalizzava l’individualismo, promuovendo l’ideologia collettivista e affinché tale dottrina fosse a tutti chiara e soprattutto da tutti condivisa controllava i suoi cittadini, li spiava costantemente e li perseguitava.

Se occorreva i burattinai della Stasi, al fine di rieducare i cittadini sovversivi, li snervavano giorno dopo giorno e per anni fino a spingerli a dubitare di se stessi e delle loro idee.

La libertà individuale era inesistente. Con la caduta del sistema, si è venuti a conoscenza che decine di migliaia di cittadini possedevano un dossier a loro dedicato all’interno degli archivi del Ministero.

Un percorso descrittivo, cadenzato e martellante attraverso le stanze con i loro immutati arredi, ci permette di soffermarci ad osservare ciò che è stata la Stasi, un tempo Il Ministero per la Sicurezza di Stato del popolo della DDR (Deutsche Demokratische Republik), ora sito storico e luogo della memoria.

Il ridondante passaggio da una stanza all’altra di questo complesso maestoso, in cui ogni cosa è rimasta inalterata nel tempo, ci permette di contemplarne le atmosfere cupe e austere, immergendoci nell’ideologia paranoica e opprimente, che immaginava che dietro a normali comportamenti si nascondesse sempre qualcosa di più.

La luce mette in risalto la sobrietà degli arredi, utili per propagandare la sua politica didattoriale alienante, costituita dal controllo e dall’oppressione.

L’artista si abbandona abbondantemente ai dettagli per cogliere l’anima di quarant’anni di terrore e annichilimento del suo popolo attraverso lo spazio e particolari di geometrie, colori e materiali. Si susseguono come reliquie di un turbolento passato scrivanie, tavoli e mobili in formica, tende spesse dai toni che spaziano dall’arancio sino al marron per arrivare ai pizzi colori crema, poltrone operative e dirigenziali dalle geometrie essenziali, sospensioni anni ‘70 e poi la cucina, i televisori e i tantissimi telefoni bianchi, neri, azzurri… Si riconoscono parti delle stanze dell’ultimo segretario della Stasi e comunista della prima ora, Erich Milkie, conservate intatte nel loro stato originario. Il suo sguardo immortala, dunque, la negazione del capitalismo ed il sogno comunista decaduto attraverso una personale narrazione fotografica di ciò che è stato il più grande Ministero della paura e uno dei servizi segreti più temuti al mondo.

Se dovete sparare, fate in modo che la persona in questione non vada via, ma rimanga con noi. — 28 Aprile 1989, Erich Milkie

Molte persone furono uccise o ferite nel tentativo di attraversare il muro. Vive o morte sarebbero, per Erich Milkie, dovute rimanere nella DDR.

Per non dimenticare…

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